“Non si conosce l’autore, la data di esecuzione, la committenza e non si conosce l’identità della donna raffigurata nei pani di Giuditta. Dunque tutto deve essere dedotto per via indiziaria, ma gli indizi contenuti in quest’opera sono talmente rilevanti che è lecito considerarla una sorta di emblema e di grande simbolo inerente alla storia della posizione della donna nella Società e al ruolo della figura femminile nell’immaginario collettivo del Seicento, ma anche in qualche modo del nostro tempo”. Con queste parole Claudio Strinati, giovedì 7 marzo, ha introdotto, a Palazzo Melatini sede della Fondazione Tercas di Teramo, la lectio magistralis sullo straordinario dipinto “Giuditta con la testa di Oloferne” proveniente dalla collezione Lemme.
Chi è l’autore di questa potente opera di ambiente caravaggesco, (un tempo nella prestigiosa Collezione Albani) che celebra il mito di Giuditta, eroina biblica che uccise l’invasore Oloferne per salvare il suo popolo? Per molti opera giovanile di Orazio Gentileschi, per altri di sua figlia Artemisia, c’è chi pensa addirittura al Caravaggio e chi, invece lo riferisce ad Ottavio Leoni, noto ritrattista dell’epoca. E chi si cela dietro il volto composto, assente, privo di ansia e inquietudine della giovane ed elegante donna che tiene in mano la testa decapitata?
Attraverso una narrazione seducente, ripresa nella preziosa pubblicazione “Giuditta. Eroina o assassina senza scrupoli” della casa editrice abruzzese“Ricerche&Redazioni”, il Prof Strinati è giunto a formulare una suggestivaipotesi attributiva, cercando nelle pieghe della storia di quel secolo il nome, forse Beatrice Cenci, da dare al volto ritratto.La Giuditta Lemme è certamente un ritratto di una ragazza realmente vissuta a quel tempo.Ma quale che sia l’autore e di chiunque sia il volto ritratto, un’eroina biblica e una donna in carne ed ossa convergono nel capolavoro a rappresentare l’eterno andirivieni della donna tra il ruolo dominante e quello di subordinazione, e l’opera stessa diventa fonte di indagine e di interrogativi sul permanente contrasto uomo-donna nel rapporto moglie-marito, padre-figlia, vittima-carnefice.
L’evento, nato su iniziativa della Commissione Pari Opportunità e della Provincia di Teramo, è stata reso possibile grazie alla mediazione e al contributo dell’Università San Raffaele di Roma che vi ha investito risorse finanziarie e umane nelle figure dei suoi docenti Claudio Strinati, Rosalinda Inglisa e Paola De Felice. “L’Università ha il compito inderogabile di promuovere e valorizzare il nostro straordinario patrimonio culturale, sia pubblico che privato. Questa straordinaria operazione non sarebbe stata possibile senza la generosa disponibilità del professore Fabrizio Lemme,fra i collezionisti d'arte più noti sugli scenari internazionali, a far uscire l’opera dal caveau nel quale era custodita per renderla visibile al grande pubblico” ha tenuto a sottolineare, a conclusione dell’evento, il Presidente dell’Università San Raffaele Roma, Dott. Sergio Pasquantonio.”
La suggestiva esposizione della Giuditta della collezione Lemme troverà spazio nella Sala Espositiva del piano terra di Palazzo Melatino sino al prossimo 18 Marzo.