Era il Mondiale d’Italia del 10 giugno 1934 e la Nazionale Azzurra, allo “Stadio del Partito Nazionale Fascista” di Roma, vinceva davanti alla presenza del Duce e dei gerarchi del regime che i media dell’epoca sottolineano al pari del risultato sportivo.“La vittoria per 2 goal a 1 contro la Nazionale Cecoslovacca è solo l’ultimo atto di quello che è una delle prime conferme del valore epico del calcio ma anche del tentativo, operato dai regimi dell’epoca, di utilizzare lo sport come strumento di propaganda” spiega il Prof. Fabio Poli, Presidente del Corso di Laurea triennale in Scienze Motorie curriculum Calcio dell’Università Telematica San Raffaele.
Il calciatore diventa da allora l’archetipo del “superuomo” e lo sport metafora del campo di battaglia e della potenza militare.
Poli ricostruisce con precisione la dinamica, come in una telecronaca: “Giuseppe Meazza e Angelo Schiavio sono i trascinatori della squadra allenata da Vittorio Pozzo. Eppure è Puc a portare in vantaggio i Cechi al 71’. Pozzo allora si alza dalla panchina e si posiziona dietro alla porta degli Slovacchi. Inverte le posizioni di Schiavio e Guaita. 10 minuti dopo Orsi sigla l’insperato pareggio con un tiro da fuori area, decretando il passaggio ai tempi supplementari. 5’ dopo l’inizio dei supplementari Schiavio segna il goal che si rivela decisivo, spegnendo le speranze dei Cechi. Dopo il goal, l’attaccante cade a terra svenuto. Verrà svegliato dagli schiaffi di Meazza e Pozzo.
La Federazione Italiana riconosce ai Campioni del Mondo un premio di 20.000 lire. Mentre il Campionato frutta all’organizzazione oltre un milione e mezzo di lire”.